E alla fine giunse la tanto temuta escalation in Medioriente.
Nella notte tra l’11 e il 12 gennaio una coalizione internazionale guidata da USA e Regno Unito (comprensiva anche di Australia, Bahrein, Canada, Nuova Zelanda, Paesi Bassi) ha condotto dei raid missilistici mirati contro le postazioni radar e di lancio terrestri dei ribelli Houthi, di stampo scita e filo-iraniani, che controllano la parte occidentale dello Yemen, con la capitale San’a’.
La decisione di attaccare segue l’avvertimento inoltrato dalle autorità statunitensi nelle scorse settimane ai ribelli, rei di aver continuato ad attaccare (da circa 2 mesi) con droni e missili le navi commerciali in transito nel Mar Rosso verso il canale di Suez da cui passa circa il 15% del commercio mondiale. I ribelli yemeniti hanno preso di mira in primis i mercantili di proprietà e bandiera israeliana – in risposta all’intervento dello Stato ebraico nella Striscia di Gaza, seguito all’incursione di Hamas del 7 ottobre 2023 -, ma anche di altre nazionalità, costringendo numerose compagnie ad optare per la circumnavigazione del continente africano passando, come secoli addietro, per Capo di Buona Speranza in Sudafrica, con inevitabili ripercussioni di carattere economico ed inflattivo nel medio-lungo periodo.
Ripercussioni che in realtà in queste ore stanno già evidenziando i loro primi effetti, in particolare in Europa. Ad esempio la Gigafactory di Tesla di Berlino (stabilimento di Gruenheide) ha da poco annunciato che sospenderà la produzione di veicoli elettrici dal 29 gennaio all’11 febbraio prossimi a causa della mancanza di componenti provenienti dalla Cina, “rallentati” dalla citata circumnavigazione provocata dagli attacchi Houthi.
Gli attacchi americani e britannici sembrano altresì un chiaro monito nei confronti dell’Iran, accusato da più parti di essere dietro le operazioni belliche di Hamas a Gaza ed Hezbollah nel sud del Libano oltrechè gli attacchi in oggetto.
Premettendo che mercoledì 10 gennaio il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva approvato una risoluzione in cui condannava i ripetuti attacchi Houthi nel Mar Rosso – con l’astensione di Cina, Russia, Algeria e Mozambico -, questo nuovo fronte fa tornare un po’ alla mente un conflitto di tempi antichi.
Transito di merci, uno stretto e la minaccia di interrompere il flusso rammenta ciò che accadde nella antica città di Ilio, altrimenti nota come Troia, nell’Anatolia nord-occidentale, alias Turchia.
Ebbene la famosa “Guerra di Troia” non scoppia a causa del rapimento da parte del troiano Paride della bellissima Elena di Sparta (non me ne voglia il gentil sesso), moglie dell’acheo Menelao – come “cantato” da Omero nella sua Iliade -, bensì per motivazioni meramente economiche tra i Micenei e gli abitanti della città poi assediata.
Micene, Argo, Pilo e Tirinto (le maggiori città della civiltà micenea) si trovavano nel Peloponneso, un territorio montuoso e per niente adatto all’agricoltura di cereali come il grano, alla base di cibi primari per la sopravvivenza. Pertanto i Micenei, popolo ultra-dedito al commercio marittimo, partivano alla volta del Mar Nero, le cui coste rigogliose ospitavano la coltura tanto desiderata (il noto “Vello d’oro” della mitologia greca).
Il percorso, però era obbligatorio e comprendeva il Mar Egeo, l’attraversamento dello Stretto dei Dardanelli (appena a nord di Troia) e l’accesso al Mar di Marmara che divideva questo primo canale dal successivo da passare, il Bosforo (l’attuale Istanbul) per giungere infine nel Mar Nero.
Consci di questo i sudditi di Priamo imponevano dei dazi agli attraversanti, i quali vennero sempre più mal digeriti dai Micenei fino a quando la misura divenne colma. Il conflitto durò per ben 10 anni vedendo la vittoria dei Micenei.
Evidentemente l’Occidente (ma non solo) ha considerato il dazio degli Houthi oramai intollerabile ed è passato all’azione.
D’altronde per ragioni economiche si belligera da tempo immemore e l’economia non è propriamente un dettaglio nel mondo. Forte di un cappello ONU simile a quello della Guerra del Golfo del 1991 contro l’Iraq di Saddam Hussein, il “PeloponnUSA” ora attacca.
C’è da sperare che non duri 10 anni.

13 gennaio 2024